La censura online cinese si potrebbe espandere in tutto il mondo: Zoom collabora con Pechino

Zoom sta bloccando alcune videochiamate su richiesta di Pechino. Una mossa che non fa altro che alimentare le preoccupazioni occidentali sull’influenza del Partito Comunista Cinese sulle società tecnologiche.
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Zoom, che ha sede in California, ha ammesso di aver sospeso gli account e censurato i resoconti degli attivisti cinesi che hanno commemorato il massacro di Piazza Tiananmen la scorsa settimana a Washington.
Zoom ha affermato venerdì che “lo sviluppo della tecnologia nei prossimi giorni ci consentirà di rimuovere o bloccare gli utenti in base alla loro provenienza”.
“Questo ci consentirà di soddisfare le richieste delle autorità locali”, ha aggiunto l’app diventata famosissima durante il lockdown.
La compagnia è l’ennesimo gruppo tecnologico occidentale ad essere accusato di censura per non avere problemi con Pechino. Questa settimana, secondo gli sviluppatori, Apple ha rimosso le app di podcast dal suo negozio online in Cina su richiesta del governo.
“Siamo stati informati dal governo cinese di quattro grandi commemorazioni pubbliche del 4 giugno su Zoom. Il governo cinese ci ha informato che questa attività è illegale in Cina e ci ha chiesto di intervenire”, ha affermato Zoom.
L’app di videochiamata è diventata enormemente popolare durante le settimane di lockdown. Ma il successo di Zoom ha attirato l’attenzione anche per i suoi legami con la Cina, dove ha filiali, server e un terzo dei suoi sviluppatori.
“Le aziende con una coscienza non dovrebbero accettare richieste dalle dittature”, ha detto Wang Dan, un attivista colpito dal “ban” di Zoom. Wang è stato uno dei leader più importanti del movimento studentesco pro-democrazia, massacrato dall’esercito cinese a Pechino il 4 giugno 1989.
Wang e il suo team stanno valutando di intraprendere un’azione legale contro Zoom.