Coronavirus, l’infodemia dell’estrema destra si diffonde su Facebook

“Alla fine, questa feccia rilascerà qualcosa di veramente brutto per spazzarci via tutti, ma prima devono addestrarci ad essere schiavi obbedienti”. Oppure, “il coronavirus è la più recente arma islamista“, e via dicendo.
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Sono solo alcuni dei commenti che stanno comparendo sul web e che rientrano tra le tantissime “fake news” circolate in questi ultimi mesi di emergenza sanitaria. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha lanciato l’allarme, affermando che si tratta di una vera e propria “infodemia”, ovvero la circolazione di una quantità enorme di informazioni che non permette nemmeno un corretto “fact-checking”.
Queste bufale, per farla breve, non sarebbero casuali: dietro ci sarebbero interessi e ideologie ben precise.
Un’indagine condotta da BBC Click assieme all’istituto di riflessione sul contrasto estremista nel Regno Unito indica come le comunità politiche di estrema destra abbiano tentato di sfruttare la pandemia sul web.
Chloe Colliver, che ha condotto lo studio, ha rivelato che la ricerca è partita “perché eravamo interessati a guardare l’intersezione tra estremismo e disinformazione online”.
“Volevamo sapere come la crisi del coronavirus stava influenzando queste tendenze”, ha aggiunto. In primo luogo, i ricercatori hanno raccolto circa 150.000 post pubblici su Facebook inviati da 38 gruppi e pagine di estrema destra dal mese di gennaio.
Hanno usato le parole chiave per individuare i temi principali di ciascun post, quindi gli algoritmi per mappare ciò di cui ogni gruppo tendeva a parlare in generale.
I ricercatori hanno identificato cinque comunità, unite dall’argomento di discussione: Immigrazione, Islam, giudaismo, LGBT, elites. La scala di attività di questi argomenti non era aumentata, ma sempre più discussioni avevano iniziato a collegare esplicitamente il virus all’immigrazione o ai musulmani, incolpando migranti e islamici per la diffusione del Covid-19 e auspicando un loro contagio.
Ma la quinta e più grande comunità – quella relativa alle “élite” – aveva mostrato un picco significativo di attività durante il blocco. Le discussioni includevano il rapporto di queste “élite” – come Jeff Bezos, i Rothschild, George Soros e Bill Gates – con lo “stato profondo”, e il loro presunto ruolo nel causare la pandemia.
I ricercatori hanno scoperto che oltre a legarlo alle “élite”, questa comunità era più propensa di qualsiasi altra a pensare che il virus fosse stato progettato in laboratorio, e che in realtà ci sia già una cura.
“Le conversazioni anti-elite sono aumentate in modo drammatico – ha precisato Colliver – soprattutto alimentando l’idea che il blocco sia uno strumento di controllo sociale”.