Coronavirus, il lato oscuro dello smart working: nasce il mal di Zoom?

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epa08336371 (ILLUSTRATION) - The icon of the videoconferencing app Zoom is displayed on an iphone in Oestrich-Winkel, Germany, 01 April 2020. Zoom, a free conference calling app, that has reportedly seen a rise in users during the ongoing novel coronavirus disease (COVID-19) pandemic. According to media reports, given a recent unforeseen surge in both volume and sensitivity of data passing through its network, the office of New York Attorney General Letitia James has sent a letter to the startup asking it to provide details of the steps taken to protect users' privacy and security. EPA/MATTIA SEDDA

Con il “lockdown” imposto dai vari Governi per cercare di frenare il contagio da coronavirus, le app di videochiamate hanno aumentato a dismisura la loro platea di utenti.

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Lo smart working e la didattica a distanza, ma anche la semplice chiacchierata con parenti e amici lontani: con le videochiamate è stato possibile reggere l’urto del distanziamento sociale, specialmente grazie ad applicazioni come Zoom che hanno riscosso davvero molto successo.

Tuttavia, un recente articolo pubblicato sulla versione internazionale del National Geographic sottolinea come le riunioni da remoto, alla lunga, vadano ad affaticare la psiche.

Secondo l’articolo, infatti, l’utente non si concentrerebbe solo sulle parole pronunciate dall’interlocutore ma anche da tutto il resto, ovvero se l’altra persona è agitata o sta ferma, se si alza o rimane seduta, cosa c’è sulla parete e molto altro ancora.

Tutto ciò comporta inevitabilmente dei problemi, specialmente a livello di lavoro e studio: la concentrazione sulle parole e sui concetti tende ad abbassarsi a causa di quella che è stata definita “Zoom Fatigue” (affaticamento da Zoom, ndr).

Va ancora peggio con le videochiamate di gruppo, dato che l’alto numero di schermate mette alla prova la visione centrale del cervello, impedendo all’utente di soffermarsi adeguatamente su ogni partecipante.

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